Umorismo infantile (50 anni dopo) Giovannantonio Forabosco
Raffaele Laporta, Il senso del comico nel fanciullo, Malipiero, Bologna, 1957, pp. 190.
Due o tre lettori si sono forse chiesti: “Che senso ha recensire un libro dopo oltre mezzo secolo?” Non hanno del tutto torto, se la recensione è intesa come orientamento a leggere o non leggere un libro appena uscito: e comunque purtroppo il libro di Laporta è di difficile reperibilità. Non hanno del tutto ragione se recensire è inteso (se ne recuperi l’etimo) come un commento critico. Il criterio diventa allora il merito. Se il libro stimola ancora riflessioni di qualche interesse il senso si pone. Una prima annotazione: il libro è stato pubblicato in una collana diretta da Luigi Volpicelli e Mario Valeri. Anni dopo, Mario Valeri ha scritto, con Giovanni Genovesi, “Comico creatività educazione” (1973), un contributo che ha decisamente e finalmente portato anche in Italia lo studio del comico, e del comico infantile in modo speciale, nell’alveo della ricerca scientifica e delle applicazioni psicopedagogiche. Pirandello a parte, quello di Laporta è stato uno dei primissimi libri dedicati in Italia all’indagine sul comico. Ma mentre “L’umorismo” di Pirandello (1908) è uno scritto di tipo letterario e speculativo – si resta nel prescientifico – il lavoro di Laporta utilizza metodi e conoscenze della psicologia e della pedagogia. Confrontato con l’oggi, cosa è cambiato? Intanto alcune parole. “Fanciullo”, per cominciare (anche Dino Origlio intitolava un suo articolo “Indagini sul senso del comico nella fanciullezza “, 1955): ormai quasi assente dall’uso quotidiano - un bambino o un ragazzo forse avvertirebbe un senso di straniamento a sentirsi chiamare “fanciullo”. Ancora più marcato è il cambiamento che ha riguardato un altro termine: immaturo. Dare dell’immaturo è praticamente diventato un insulto. Laporta lo usa nel suo senso semplice (e ormai desueto) di “non ancora maturo” e a volte, anche solo per non ripetere “fanciulli”, parla di“immaturi”. Questi tuttavia sono cambiamenti che riguardano l’evoluzione del linguaggio in generale, compagna del mutamento degli usi e dei costumi. Rientrando in questo quadro anche la riproposta sottolineatura che Laporta fa di una educazione morale: un’aggettivazione allora non ancora elisa dalla laicizzazione del sistema formativo. Ma anche nello specifico ci sono stati cambiamenti significativi. E’ cambiato l’uso del termine “comico”. Certo, è del tutto attuale la sua accezione di specie ed è ancora molto diffuso in italiano anche come termine di uso generale (includendo umorismo, ironia, satira, ecc.). Ormai però il termine invalso nella letteratura scientifica internazionale è “humor”. Ma comico a volte ricompare dove meno ce lo si aspetta. Una curiosità: Salvatore Attardo, direttore di Humor. International Journal of Humor Research, in un articolo pubblicato su “Kos” ha tradotto “General Theory of Verbal Humor” (da lui elaborata insieme a Victor Raskin) con “Teoria Generale del Comico Verbale” (scelta linguistica o scelta dettata dal richiamo di radici lontane?) Basta sapere che i due termini sono dati, nel contesto, per equivalenti. Significativi sono stati poi i cambiamenti concettuali. Un esempio per tutti, rappresentativo. Laporta individua il contrasto come elemento strutturale del comico. Un termine descrittivo e intuitivo a cui però non corrisponde una teoria di riferimento. L’elemento del contrasto è stato di fatto assorbito all’interno del modello che fa perno sull’incongruità. In questo caso non si tratta solo di una diversa opzione terminologica. La percezione d’incongruità, l’innesco del problem solving, la sua risoluzione, e così via, rientrano in un contesto teorico molto articolato che coinvolge aree ampie della cognitività. Proprio a riguardo della componente cognitiva merita osservare come Laporta descriva l’evoluzione del comico infantile con riferimento a Piaget, anticipando le analisi che poi diversi ricercatori hanno sviluppato (si veda in particolare McGhee, 1979; Bauriaud, 1983). Va fatto merito a Raffaele Laporta di aver proposto un libro pionieristico quando parlare di comicità non era considerato granché serio in ambito accademico e professionale. Una ampia documentazione degli studi disponibili ha reso il libro una risorsa utile e stimolante. Ci sono comunque voluti ancora più di venti anni prima che il comico diventasse materia di studio e di ricerca riconosciuta e accolta a pieno titolo, anzi considerata di grande interesse. Il libro di Laporta permette di cogliere quanta strada di conoscenza sia stata compiuta; anche grazie al suo contributo.
Nota BibliograficaAttardo Salvatore, La teoria generale del comico verbale, Kos, 235, 2005, 50-53. Origlia Dino, Indagini sul senso del comico nella fanciullezza, Infanzia Anormale, 13, 1955, 316-353. Bariaud Françoise, La genèse de l’humour chez l’enfant, Parigi, PUF, 1983. McGhee Paul, Humor. Its origin and development, San Francisco, Freeman, 1979. Pirandello Luigi, L’umorismo, Carabba, 1908. Valeri Mario e Giovanni Genovesi, Comico creatività educazione, Guaraldi, Rimini. 1973. Raffaele Laporta è stato definito da Tullio De Mauro “un pedagogista non routinario”. Ha insegnato in numerose università e ha fondato a Chieti l’Istituto di Pedagogia e Psicologia. Gli è stato intitolato il Premio Nazionale di Pedagogia.
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